Secondo Fabio Turchetti, è necessario, in parte, superare lo stereotipo che vuole il cavernicolo costretto a nutrirsi poco e male. Leggete un po’qui…
“L’uomo preistorico aveva già intuito che la carne di un animale ucciso, povera di acido lattico dopo un lungo inseguimento, era meno tenera di quella di uno colto di sorpresa. E aveva anche scoperto che i semi di cereali, indigeribili se ricoperti da buccia (o pula), una volta triturati potevano venire impastati con acqua e costituire una specie di polenta nutriente.
Insomma, che cosa mangiavano i nostri lontani antenati? Il rinvenimento in grotte e caverne di enormi mucchi di ossa, l’individuazione di focolari (i punti in cui furono accesi i fuochi e in cui ne sono rimasti segni evidenti), gli scavi di fosse destinate ad accogliere provviste e ammassi di rifiuti, l’analisi degli strati sottostanti i pavimenti di case e capanne, possono rivelarci preziose informazioni sugli usi alimentari, sulle tecniche di cottura sui riti di offerta e divinazione dei nostri lontanissimi antenati.
Per esempio, abbondanti resti ossei di vacche e di pecore adulte rivelano la presenza di un’economia casearia che si asteneva dal macellare bestiame in età giovanile, per sfruttarlo invece nella produzione del latte.
In alcuni casi fortunati, nelle tombe egizie e negli scavi di Pompei, sono stati rinvenuti abbondanti resti di cibarie che ci hanno fornito informazioni sulla cottura e sulla conservazione degli alimenti in uso presso quelle popolazioni.
Ai confini con la zoo-archeologia si collocano gli studi sui contenuti gastrici delle salme mummificate, o preservate in sabbie aride e torbiere, nonché gli esami di feci umane (o coproliti).
L’individuazione in queste ultime di minutissimi frammenti di ossa, peli e tegumenti animali o vegetali, ha accresciuto la nostra conoscenza sulla cucina del passato.
Scoperte recenti ci obbligano, addirittura, a riscrivere persino la storia del chewing-gum, che si credeva fosse stato inventato nel 1861 dall’americano William Wrigley jr.
Un po’ dovunque, in Europa, sono stati infatti rintracciati dei grumi neri, databili tra il 7000 e il 2000 a.C. Gli esami di laboratorio hanno evidenziato che trattasi di resina estratta dalla corteccia delle betulle. E le impronte dentarie che appaiono su questi grumi fanno ritenere, con sicurezza, che essi fossero golosamente masticati da bambini e adolescenti.