Ode al Raviolone

Ricevo e, con molto piacere, integralmente pubblico (foto comprese).

Erano un po’ di giorni che quel cous cous (mi sembra si scriva così) mi rendeva triste. Torna e ritorna sul sito e che ritrovavo?: il cous cous. Ma siamo matti? Ma dov’è finita la buona cucina?
Eccola. A sorpresa un’ emozione, anzi una commozione, quasi da lacrima. Uno dei ricordi. Forse il più bello della cucina materna. Il più desiderato. I ravioli dolci. Anzi, i ravioloni dolci. Fatti proprio così: all’abruzzese, anzi, alla roccolana.
Pensa erano talmente grandi che in un piatto piano ce ne andavano solo due. Uno di fronte all’altro. Si guardavano e si facevano guardare. Belli, pieni di ricotta impastata con il rosso d’uovo, uvetta ravvivata, un po’ di zucchero e… sopra un fumante ragù.
Prima di infilzarli ci spargevo una bella spruzzata di parmigiano – a volte di pecorino, quando c’era – giravo il piatto per trovare il punto giusto, mentre il fumo del ragù mi entrava nei polmoni e nel cervello facendo partire un comando allo stomaco che aspettava il desiderato ospite per trasformarlo.
Purtroppo! Goccioline di saliva lubrificava-no la bocca e la rendevano accogliente, pronta a rigirare da una parte all’altra il gustoso cibo. Quanti ne mangiavo? Beh, dipende. Da quanti ce n’erano, dalla fame degli altri commensali, ma ne finivano nello stomaco almeno sei.
Quindi l’equivalente di tre dischi volanti grandi come il piatto, che ti portavano verso l’infinito, dagli stazzi dell’Aremogna verso i tratturi.
Un sogno. Li accompagnava solo un buon bicchiere di vino e poi basta.
Un sogno. Oggi non li mangio più, la tradizione si è interrotta, anzi si è spenta. Chissà se questa notte li sognerò, almeno uno. Chissà quando ne mangerò almeno uno.
OguLoSmilzo

Che dire se non grazie dell’emozione restituita!”

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